Sento dire da tanti statisti, giornalisti, psicologi, antropologi, che l’emergenza COVID ha cambiato o cambierà per sempre le persone e la società. Conseguenze economiche a parte (non sono un economista per analizzare questa crisi da questo punto di vista), io a queste affermazioni non credo. E aggiungo:purtroppo.
Perché dico purtroppo? Perché ci servirebbe tanto cambiare. E il virus, pur nella sua drammaticità, ci sta mostrando un possibile come.
Il virus ci sta dando un panorama accelerato di quella che Latouche e altri chiamano decrescita felice. Questa di oggi non è felice: ma i risultati sono quelli che dovrebbero essere secondo quel paradigma, se programmati: crollo del mercato degli idrocarburi, riduzione del 40% delle polveri sottili su scala mondiale, cielo limpido a Delhi (tra le città più inquinate del mondo) da cui, dopo oltre 100 anni, si vede l’Himalaya, fine del mito monetarista e (parziale e ancora timida) ripresa delle visioni di Keynes sul fatto che in epoche di crisi lo stato deve sborsare disinteressandosi del pareggio di bilancio. Consumi quotidiani moderati, crollo degli acquisti del futile, valorizzazione dei piccoli mercati sotto casa, necessità di una digitalizzazione capillare e diffusa in tutte le case, con conseguente diminuzione dell’analfabetismo informatico.
Il pianeta Terra che riposa e respira.
Il virus insomma ci sta mostrando, noi costretti alla finestra di casa, le storture del capitalismo senza freni. Perché ora i freni sono stati messi.
Ma dico purtroppo perché temo che dimenticheremo, complice la durata in mesi e non in anni (altro che guerra) dell’emergenza. Ci invoglieranno a dimenticare.

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