LA SECONDA GUERRA FREDDA DELLA RUSSIA E LE RESPONSABILITA’ DELL’OCCIDENTE

Se si leggono gli interventi, sempre di fonti autorevoli, DI studiosi universitari e/o di consulenti di governo, nei Limes del 1014 e del 2016 dedicati alla Russia Di Putin (quello del 2014 addirittura si chiama “La Russia in guerra”), si scopre che quanto sta accadendo oggi era ampiamente preparato, e, di conseguenza, ampiamente prevedibile.

Già al vertice Nato di Bucarest del 2007, a cui Putin fu invitato, egli stesso ebbe dichiarazioni tuonanti nei confronti dell’allargamento della Nato a est che la Russia avrebbe percepito senz’altro come minaccia. Ma queste dichiarazioni vanno comprese in un contesto più ampio, che Virgilio Ilari, Presidente della società italiana di Storia Militare, ha definito su Limes “la seconda guerra fredda della Russia”. 

La storia comincia nel 1999, anno dell’avvento di Putin al potere. Prima, dal ’91 al ’99, la Russia di Eltcin barcolla, e deve riprendersi dallo shock. A parte la Cecenia, in quel lasso di tempo azioni significative in contesto geopolitico da parte della Russia non ve ne sono. 

Nel 1999, ormai al potere, Putin già muove contro la Cecenia una seconda volta. Due anni dopo, la tragedia delle Twin Towers è per lui occasione per sdoganare la sua guerra al terrorismo in Cecenia, forte e sicuro che nessuno potrà contrastarlo visto il clima internazionale generale. E così è infatti.

Ma nel 2004 comincia un periodo cupo per la Russia, nuovamente traumatico: le elezioni in Ucraina vedono vincere il candidato filooccidentale, mentre quello putiniano viene accusato di brogli. Nel 2008 identica cosa succede in Georgia. 

Intanto nel 2003 gli Stati Uniti la fanno da padrone e si insediano in Iraq e in Afghanistan. Nel sistema post-sovietico, qualcosa scricchiola agli occhi di Putin. La sua ansia è che la Russia da superpotenza diventi potenza regionale o addirittura stato-satellite.

Putin lancia dal 2008 la controffensiva, su più fronti: anzitutto con la guerra dei cinque giorni, contro la Georgia, per creare uno stato cuscinetto suo vassallo (Ossezia Sud). Poi fa decollare il PIL russo, grazie alla politica di esportazione massiva di gas e petrolio. Rende la Russia dipendente da queste esportazioni, ma almeno inizialmente ciò fa viaggiare gli affari. Il popolo, visto il PIL in ripresa, è in sostanza con lui. Nel 2010 gli riesce poi, dopo aver fatto cadere la candidata filooccidentale con la minaccia dei tagli di gas, di far salire di nuovo il suo pupillo Janukovic (lo stesso accusato di brogli nel 2004 e deposto dai tribunali ucraini) al potere in Ucraina. Siamo al vertice della ripresa della Russia come potenza internazionale, almeno per quanto riguarda i contesti geopolitici che alla Russia interessano. La paura è sempre bifronte: USA anzitutto, ma anche Cina. Putin sviluppa l’ossessione di dover fronteggiare entrambi i giganti, la Russia deve tornare grande.

Ecco perché dal 2013 c’è un nuovo panico: in Ucraina, la popolazione vuole i trattati con l’Europa. Janukovic, fin lì pronto a firmarli, deve ritirare la penna quando Putin minaccia (di nuovo) di chiudere i rubinetti del gas. Quello che non si aspettavano entrambi è la veemente protesta della popolazione: Janukovic è addirittura costretto a scappre. Le proteste Euromaidan cambiano tutto: Putin ha perso l’Ucraina (salirà Porshenko, filooccidentale, e poi l’attuale Zelensky nel 2019), e intanto il crollo dei prezzi del petrolio fa crollare il PIL, che nel 2015 fa registrare un -4%. La Russia è in decrescita economica, e perde uno stato amico (o vassallo, per come la vede Putin). La Nato intanto si è allargata in tutti gli stati ex satelliti, dalla Polonia alla Bulgaria. Nel 2011 le primavere arabe fanno temere a Putin che, dopo la primavera filoeuropea di Euromaidan, ci saranno primavere di protesta di piazza anche a Mosca, vista la stagnazione economica. Gli USA sono attivi in Libia, stato che con Gheddafi aveva ottime relazioni con la Russia.

Putin si sente accerchiato, il consenso popolare barcolla, anche se non può manifestarsi apertamente (Putin avvelena giornalisti e oppositori con il novichock, suo marchio di fabbrica, sua firma di assassino).

Dal 2014 perciò c’è una nuova controffensiva, quell che appunto Ilari chiama seconda guerra fredda: invasione della Crimea, invasione del Donbass (in modo da tenere sotto controllo l’Ucraina dove non può più far salire i suoi pupilli), intervento in Siria, a controbilanciare la presenza USA in Medio Oriente, soprattutto perché (dopo il fallimento della “missione” Libia) Obama gli lascia fare con Assad.

La domanda allora è: perché se nel 2014 invade Crimea e Donbass si è fermato lì, e ha deciso solo otto anni dopo di “completare” il quadro con l’Ucraina intera?

Le risposte a questa domanda sono da vedersi nell’elezione di Trump del 2016, da Putin favorita in ogni modo (anche in modi sporchi, come è suo solito), per cui Putin non può tentare mossa troppo azzardata mentre c’è una sua sponda in USA. Mentre, nel 2021 l’insediamento di Biden e contestualmente il ritiro dall’Afghanistan fanno capire a zar Vlad che in USA c’è di nuovo un presidente non amico e (a parole) espansionista, ma anche che è troppo debole per stare in Medio Oriente, e soprattutto che la presenza militare USA in zone vicine (Afghanistan) ora non c’è più. 

E’ tutta qui la spiegazione: una strategia precisa, meditata almeno dal 2014, se non da prima. Niente di improvvisato. Primakov, ex primo ministro russo, in un discorso pubblico ma non tenuto in veste ufficiale (vedi Limes, 2016, il Mondo di Putin) aveva anche accennato alla riorganizzazione delle forze armate, “che non poteva essere completa prima del 2020”. 

A questo punto, però, leggiamo cosa dice Ilari nel 2014 su questa seconda guerra fredda, combattuta dalla Russia (come la prima) con interventi militari “caldi” in zone locali: 

“Ci sono nella crisi ucraina [2014] fondamentali differenze rispetto alla prima guerra fredda. Diversamente dagli interventi russi in Ungheria, Cecoslovacchia, Afghanistan, gli interventi russi in Cecenia sono stati sostenuti con un consenso interno man mano crescente, e non poca “comprensione” anche in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto da parte dei “veterani della guerra fredda” (vedi George Kennan)”.

La strategia della Russia di Putin secondo Ilari è “la classica strategia obbligata del difensore, ovvero tentare di rovesciare l’inevitabile corso degli eventi con classico sistema della sortita, per contenere gli approcci nemici, razziare i rifornimenti [la politic del ricatto tramite gas] e girare la clessidra”.

In questo senso “Ossezia, Crimea e Donbass hanno avuto successo perché la Russia non ha fatto il passo più lungo della gamba”.

Ma “la storia dimostra che la scalata può sfuggire al controllo per una infinità di motivi”.

E allora? Sentiamo come conclude Primakov, ex primo ministro russo, nel 2016.

“Qualora non venissero rispettati gli accordi di Minsk, la Russia potrebbe mandare in extrema ratio le sue forze armate in aiuto ai miliziani?”

sentite come risponde: “La mia risposta è un no categorico. Se succedesse si farebbe solo il gioco degli Stati Uniti che ne sfrutterebbero la situazione per mettere sotto di sé l’Europa per un intero secolo”.

Sono articoli del 2014 e 2016, ma sembra di leggere l’oggi.

Putin non ha ascoltato il suo ex primo ministro, ed è notizia di oggi che la Russia sembra davvero arrancare in Ucraina. 

Ma nemmeno l’Europa ha ascoltato, né letto quanto scrivevano gli esperti, quanto ampiamente si prevedeva almeno dal 2014: non ha avviato una politica di differenziazione energetica, sebbene Putin avesse già giocato al ricatto del gas con l’Ucraina, e non ha fatto nulla per impedire che nel confronto, già visto come inevitabile nel 2014, l’Europa potesse parlare con una sola voce invece di far parlare la NATO o gli USA. 

Il nostro primo ministro ha detto nei giorni scorsi che “L’Ucraina è Europa e deve essere in Europa” e che “è necessario diversificare l’approvvigionamento del gas”. Ma perché ricordarsene a cose fatte nel 2022? Gli esperti scrivevano e parlavano.

Possibile che debbano essere letture solo per cultori di geopolitica? I nostri governi cosa ascoltavano, mentre i loro consulenti parlavano?

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