La nostra convinzione è che le democrazie reali si stanno sempre più movendo verso questo uso distorto: l’acquisizione del consenso maggioritario (tipicamente registrato in occasione delle tornate elettorali) rischia di essere concepita sempre più come «una delega in bianco» per operazioni politiche di ogni tipo, che a posteriori possono sempre essere giustificate con la scusa dell’appoggio della maggioranza: una prassi di questo tipo è riconducibile a un uso auto-referenziale del potere politico da parte di chi lo gestisce, dato che l’appoggio della maggioranza risulta essere solo una «scusa» per scelte politiche palesemente non condivise o impopolari. Ma cosa garantisce, nelle democrazie attuali, che il soggetto politico, acquisito il consenso numerico necessario per giungere al potere, si mantenga fedele all’impegno, e non usi invece il successo elettorale come una «carta jolly» per giustificare ogni sua azione e scelta, rispondente magari a criteri tutt’altro che maggioritari? 

Osserviamo intanto che già Horkheimer nella Eclisse della ragione argomentava (molto più radicalmente di quanto faremo noi) contro il principio di maggioranza partendo da un’opposizione di natura filosofica: il principio di maggioranza è frutto di una razionalizzazione strumentale, tipica dell’epoca contemporanea, dei metodi di governo, che trascura la ragione oggettiva, principale oggetto di indagine del pensiero antico. La conseguenza è che i concetti di giustizia, libertà, uguaglianza, non sono valutati nella loro essenza oggettiva, ma pragmaticamente sulla base di quello che gli uomini giudicano di essi. Le decisioni politiche che dovrebbero essere ispirate ad essi diventano dunque arbitrio di un fattore contingente, e cioè «quanti» individui siano d’accordo su di esse. Sebbene l’argomentazione di Horkheimer scivoli verso l’opposizione qualitativistica al principio di maggioranza, sicuramente ha il merito di mettere in evidenza un aspetto importante: l’epoca contemporanea sembra perdere sempre di più la dimensione del «valore» oggettivo dell’idea politica, per curarne invece l’aspetto strumentale: lo dimostra, fra l’altro, il terrore dei politici nell’assumere decisioni «impopolari» ma giuste, proprio in virtù del condizionamento della maggioranza: l’esempio più accorto che può venire in mente è quello relativo al mantenimento della pena di morte negli Stati Americani: molti governatori si sono dichiarati personalmente contrari alla pena di morte, pur sottolineando la loro adesione a quello che la maggioranza chiede. Qualunque idea politica può essere legittima in virtù dell’appoggio della maggioranza, e completamente azzerato risulta il confronto razionale e ragionevole fra le idee. Limitiamoci, per ora, a constatare la osservazione di principio di Horkheimer, e aggiungiamo ad essa altre constatazioni sui limiti di validità e di legittimità del principio di maggioranza. Osserviamo intanto che la regola della maggioranza, se considerata come una prescrizione assoluta, è in grado di produrre delle mostruosità anti-democratiche, e di questa pericolosità sembra che la società contemporanea abbia perso completamente il ricordo.

La prima questione è se la regola della maggioranza va applicata a coloro che la utilizzerebbero per abolirla: se, per fare un esempio, bisogna accettare che vada al potere, con la maggioranza dei voti, un partito che ha la dichiarata intenzione di abolire l’istituzione democratica, o comunque di non tutelare la minoranza di opposizione. Popper al proposito è molto chiaro:

Una costituzione democratica consistente deve escludere soltanto un tipo di cambiamento nel sistema legale, cioè quel tipo di cambiamento che può mettere in pericolo il suo carattere democratico.

Il principio della maggioranza va sempre mantenuto, altrimenti esso perderebbe di valore, ma in una democrazia esistono altri principi, prioritari ad esso, e sono proprio quei diritti garantiti dalla costituzione e frutto del patto sociale: essi sono fuori dalla applicazione della regola di maggioranza, perché costituiscono, diciamo così, le istruzioni su cui si basa il gioco politico. Il partito che usa la maggioranza per calpestare questi principi prioritari, fa come chi in un gioco si muove fuori dalle regole, cioè cerca di barare: come nei giochi un tale giocatore merita di essere espulso dal gioco, così nella vita politica un tale partito non ha diritto a partecipare alla competizione elettorale.

Osserviamo ancora un’altra cattiva applicazione della regola di maggioranza in senso assoluto: vi sono delle questioni su cui la maggioranza non deve intervenire, e deve essere sempre chiaro che essa non è autorizzata ad intervenire (anche di questo ammonimento sembra che la democrazia reale abbia perso coscienza). Non solo la maggioranza non deve intervenire sui diritti inviolabili dei cittadini, frutto del patto sociale, perché questi le sono anteriori cronologicamente e di principio, e inoltre su essi si è espressa già l’unanimità dei cittadini (quando ha stipulato il contratto), che è ragione più forte; ma anche sulle questioni di coscienza e private, o sulle questioni in cui è messa in gioco la ricerca della verità. Sulle prime, la limitazione di intervento è perfettamente comprensibile, e non ci soffermeremo; sulle seconde, invece, va sottolineato che la ricerca della verità, in ogni campo, non può essere sottoposta a giudizio della maggioranza: eppure, in molte questioni, dai problemi di ricerca scientifica alle indagini sulla colpevolezza o innocenza di un imputato, l’opinione della maggioranza sembra oggi intervenire in maniera eccessiva nelle democrazie attuali.

Su ciò, la nota conclusiva deve essere che il principio di maggioranza non deve essere oggetto di fede assoluta, anzi, non deve essere affatto oggetto di fede, come, più comprensibilmente, può essere l’idea di democrazia, con la quale invece viene spesso confuso nella difesa ad oltranza. Devono pertanto essere esplicitati in sede di principi costituzionali i limiti a cui la regola di maggioranza nella sua applicazione deve attenersi.

Norberto Bobbio considera un limite di efficacia l’applicazione della regola di maggioranza a decisioni di carattere irreversibile, nel senso che la maggioranza non dovrebbe poter decidere «anche per il futuro», come invece accade quando prende decisioni irreversibili, o formalmente nel senso giuridico, oppure in virtù delle loro conseguenze. Infatti la maggioranza è titolata a prendere decisioni in funzione del fatto che, in un sistema democratico, la cattiva qualità delle sue decisioni può essere legalmente punita dagli elettori premiando la sua opposizione al turno successivo di elezioni. Ma come può il popolo esercitare questo diritto al cambiamento se la maggioranza assume decisioni irreversibili?

Questo ci sembra un autentico e grave problema del principio di maggioranza, soprattutto in considerazione dell’abuso di potere, proprio nel senso della irreversibilità delle decisioni, che ne viene fatto nelle democrazie reali. Potremmo aggiungere anche che si pone un analogo problema, di verso opposto, quando la maggioranza esercita il suo diritto di governo ribaltando radicalmente le decisioni prese dalla maggioranza precedente. Al di là del disagio «tecnico» che ciò comporta, è legittimo concedere a una maggioranza il potere di sovvertire la decisione di un’altra maggioranza, in ogni caso e senza limitazione? Quanto conta, in questo caso, la volontà degli individui che sorreggevano la maggioranza precedente? Non sono elettori anch’essi, che esigono di essere tutelati proprio nelle conquiste e nei traguardi che essi hanno realizzato? Il problema non si pone sui tempi politici del presente e del futuro, ma sul passato: è giusto cambiare un obiettivo di politica a seguito delle indicazioni della maggioranza, ma è giusto demolire un traguardo già raggiunto dal governo precedente?

Possiamo riassumere le questioni fin qui presentate come un grande esposto nei confronti delle condizioni di validità di applicazione del principio di maggioranza. Ci occuperemo nel prossimo articolo di offrire possibili strumenti teorici di intervento sui problemi  della regola di maggioranza, e in quello successivo affronteremo nel dettaglio il problema connesso alla questione della rappresentanza, strettamente connesso al discorso presente.

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