X puntata

Nel rifiuto della politica vecchio stampo che esse esprimono con il fatto stesso di essere nate e sviluppate al di fuori delle vecchie logiche, le associazioni assicurano che il processo culturale di acquisizione del valore etico di questo rapporto è già compiuto, almeno come pre-condizione.

In altre parole, la dinamica associativa, nata in conseguenza della fuga della militanza di partito, è già di per sé rifiuto della politica vista come traffico di favori e inganni, il che significa già di per sé una concezione della politica dal punto di vista dei cittadini, di una politica cioè che si attiva per intervenire sui grandi temi di interesse collettivo, con una forte carica di «valore morale» che sta nella sua capacità di coagulare persone e progetti intorno all’idea dell’ ”intervento nel mondo”.
La dinamica associativa è l’espressione di un fenomeno sociologicamente importante: la stanchezza dei cittadini nei confronti della vecchia politica, ma anche la voglia di contare di più, di dire la propria, di «farsi sentire». Le associazioni oggi rappresentano quella nuova cittadinanza attiva pronta a estendere e includere nuovi soggetti di diritti, di cui parleremo meglio nel paragrafo successivo.

In base alla concezione della politica che abbiamo delineato, è in questi fenomeni, e non nella gestione del potere attuata dal sistema dei partiti, che si trova la vera politica. Perché è qui che si esprimono gli interessi dei cittadini.

Le associazioni oggi sono la più diretta espressione della volontà popolare, ciascuna con la propria capacità di coinvolgere persone intorno a un progetto o a un’idea, un principio. Mentre la cosiddetta «base» del partito va sempre più scomparendo, e il partito stesso diventa sempre più una piramide fatta di solo vertice, le «basi» si spostano verso altri punti di riferimento, che offrono la garanzia di una politica trasparente, e orientata decisamente verso i temi che stanno più a cuore. Sin nel nome le associazioni rappresentano oggi l’idea o il principio che ne determina la loro genesi: il tutto mentre i nomi dei partiti sono ormai la più vuota formula della politica, facendo riferimento a condizioni sociali che non esistono più da tempo immemore. I rappresentanti delle associazioni sono poi i cittadini stessi, differentemente dai partiti, gestiti da una classe che non a caso oggi viene chiamata «classe politica», quasi a marcarne la differenza e l’eterogeneità rispetto alle altre aggregazioni sociali. La morte dei partiti si è consumata proprio intorno a questo fenomeno: quando nei partiti hanno smesso di militare i cittadini, e si è generata una classe di professionisti della politica, la politicizzazione degli interessi di cui dovevano essere garanti è venuta meno.

Questa morte dei partiti era tutt’altro che un fenomeno imprevedibile: come ogni creazione istituzionale che ha il suo punto di riferimento nelle trasformazioni della società, il partito ha un suo tempo e una sua vita. È sciocco pensare che il partito sia una forma eterna, come lascia presumere Weber nella sua analisi. Weber ha confuso la funzione istituzionale che storicamente è stata assunta dal partito nel secolo scorso (che è effettivamente funzione insostituibile, all’interno della democrazia) con il partito stesso, che è solo, diciamo così, «incarnazione storica» e quindi temporanea, di quella funzione.

Quella stessa funzione è oggi svolta, «naturalmente», dal sistema associativo. La nostra epoca vive in questo senso una delicata fase di passaggio. I partiti sono morti, e tuttavia esistono ancora e dettano legge, mentre le associazioni sono più vive che mai ma non consapevoli del loro ruolo storico. 

Movimenti e associazioni, oggi, hanno un ruolo chiave per trasformare questa utopia in un progetto. Naturalmente, non basta la consapevolezza. È necessario che il sistema trovi nuove forme istituzionali per dare opportunità di espressione al nuovo magma politico che si muove sotto di sé. E questo è compito di un nuovo programma politico.

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