Mentre scrivevo questo testo per la presentazione degli intenti di questo sito/blog dedicato alla educazione al pensiero democratico, era in atto nel mese di agosto la crisi di governo definita “la più pazza” della storia d’Italia. Nel frattempo, ha inquietato tutto il mondo non solo la notizia che l’Amazzonia brucia per migliaia di chilometri, ma che forse questi incendi sono frutto delle politiche disboscatrici del presidente brasiliano Bolsonaro, regolarmente eletto dai suoi concittadini. Infine, negli ultimi giorni di agosto, impazza sui giornali che in Inghilterra un presidente del consiglio chiude il parlamento per 6 settimane pur di evitare un dibattito su una legge spinosa (il no deal alla Brexit).

Che cosa sta accadendo nell’Occidente, culla della democrazia dai tempi della Rivoluzione Francese?

Proviamo a dare una lettura diversa, super partes, della crisi italiana, dal punto di vista della teoria della democrazia: 

-un vicepremier e capo politico di un partito, non in Parlamento ma attraverso i social, le interviste e le spiagge, dichiara di voler far cadere il governo di cui fa parte, dopo 14 mesi di difficile convivenza con l’altra parte politica e dopo un risultato lusinghiero del suo partito alle ultime tornate elettorali (per il parlamento europeo). 

– lo stesso leader politico due settimane dopo ritira la sfiducia, perché nel frattempo “si è accorto” che la sfiducia a un governo può determinare anche la nascita di un altro governo di diverso colore politico purché abbia la maggioranza in parlamento, e non necessariamente l’andare a nuove elezioni. Cosa che qualunque amministratore di condominio, anzi, qualunque cittadino, dovrebbe sapere, conoscendo almeno i passaggi essenziali della costituzione italiana.

– Sempre quel leader (che sfiducia il suo governo ma non si dimette da vicepremier) vista la nuova alleanza di governo grida all’inciucio fra le altre forze politiche, continuando a non notare che la costituzione permette assolutamente questo, e così è accaduto per 40 anni circa dal 1948 al 1992, perché la legge elettorale è tale da consentire maggioranze variabili. Ma soprattutto, è quello che ha fatto lui 14 mesi prima, visto che si era presentato alle elezioni con una coalizione ma poi si è alleato con un partito non membro di quella coalizione.

  • il leader del principale partito di opposizione dichiara inizialmente di voler andare al voto, pur sapendosi perdente (probabilmente secondo) alle prossime elezioni, secondo i commentatori perché vuole ripulire il suo gruppo parlamentare da persone non scelte da lui e sostituirle con altre scelte da lui, e perché vuole scavalcare gli altri partiti e conquistare il primato di “primo partito di opposizione”, consentendo così però che si formi un governo di connotazione estrema dall’altra parte politica rispetto alla sua. 
  • L’ex leader di questo partito, invece, assume la posizione opposta, per la esatta ragione opposta (dicono sempre i commentatori): perché vuole continuare a mantenere per più tempo possibile il controllo del gruppo parlamentare da lui nominato
  • Il leader dell’altro partito di governo prima parla di tradimento, e grida al voto, poi comincia un colloquio su due fronti fra il partito del leader dimissionario e quello d’opposizione per capire dove si colloca meglio la sua convenienza, visto che se si va alle elezioni rischia di perdere molti voti. Peraltro, grida al tradimento quando era chiaro a qualunque commentatore da bar che il suo (pseudo)alleato avrebbe colto il primo momento opportuno per capitalizzare il risultato delle elezioni europee, e parla di slealtà dopo 14 mesi di continuo litigio e continui reciproci ricatti. 
  • Infine, sembra sottomettersi alla volontà di fare un nuovo governo di diverso colore, ma purché sia approvato dalla piattaforma Rousseau. Che altro non è che un sito internet dove i simpatizzanti di quel partito possono votare le decisioni del partito stesso. Una cosa che non è legalizzata, non è controllata, non è scritta nella costituzione, non è prevista istituzionalmente, e soprattutto è concettualmente ridondante, perché quei simpatizzanti hanno già votato per chi deve portare avanti le loro idee, e sono proprio questi eletti che devono decidere come risolvere la crisi.

Che sta succedendo alla democrazia in Italia? Che cosa si può dedurre da questo quadro?

E poi “Di chi è la colpa?”: questa è la domanda che corre fra i giornali e fra la gente.

La colpa è anche nostra. E’ di tutti. E sta accadendo, come ai tempi di Platone (ce lo racconta nella celebre lettera VII), e come molte altre volte nel corso della storia, che i tempi sono molto confusi e si è perso il senso delle cose. 

In Italia, l’ultima volta, è accaduto in un periodo che nessuno dovrebbe mai dimenticare, e cioè tra il 1919 e il 1922.

Si è perso il senso delle cose in quattro aspetti:

  • manca la cultura
  • manca la moralità
  • manca il senso delle istituzioni
  • manca la visione prospettica

Manca la cultura: perché solo chi è ignorante della costituzione e dei meccanismi democratici può gridare all’inciucio, o al tradimento, a proposito di passaggi che sono perfettamente previsti nella prassi politica.

Manca la moralità, perché solo un politico totalmente disonesto verso il mandato ricevuto dagli elettori può anteporre l’interesse del proprio partito, o addirittura personale, a quello del paese che rappresenta, scegliendo di andare al voto o meno per scopi di lotta interna fra fazioni. 

Manca il senso delle istituzioni, perché il Parlamento è stato spettatore di un teatro che si è consumato fra tweet, Facebook e le spiagge, e che invece doveva svolgersi tutto dentro l’aula parlamentare. E perché i politici tutti parlano ormai alla pancia del paese invece di svolgere una funzione educatrice edificatrice ed elevatrice verso i propri rappresentati. Aizzano cani, che poi abbaiano, e per compiacere chi abbaia abbaiano anche loro con ancora più violenza.

Intanto, nel mondo, gli incendi in Amazzonia vengono vissuti e gestiti da tutti i leader politici dei vari paesi in maniera a dir poco infantile: si è arrivati persino a litigare via social fra il presidente francese e quello brasiliano. 

Manca la visione prospettica: a nessuno è venuto in mente che gli incendi in Amazzonia dimostrano che il quadro internazionale, congelato dai tempi della fine seconda guerra mondiale nello schema dell’ONU, è totalmente incapace di affrontare le nuove e future emergenze climatiche globali. Non esiste nel dibattito attuale alcuna riflessione che si sia domandata se è ancora possibile accettare che l’esistenza del più grande polmone verde del mondo possa essere faccenda esclusivamente interna di un paese e del suo presidente, anche se regolarmente eletto dai suoi cittadini.

E in Inghilterra, nessuna vera reazione si determina a un atto vicino al colpo di stato, ovvero la chiusura del Parlamento. Invece i Francesi nel 1789 trovarono chiuse le porte del Parlamento, si riunirono nella sala della Pallacorda e giurarono di cambiare la Francia con una Costituzione. Siamo all’apatia generalizzata, già evidente nel fatto che il principale partito politico di tutti i paesi democratici occidentali è l’astensione.

In questo progetto, Democrazia Consapevole, si possono trovare risposte a queste domande, e vie di uscita per superare la crisi. Perché la filosofia si è interrogata, e non da oggi, su queste questioni e sa dare una risposta, come già ai tempi di Platone, ai momenti di crisi culturale, morale, teorica, sociale.

Che cosa si può fare? Che cosa si deve fare? 

Studiare, anzitutto. L’ignoranza ha generato i mostri con cui abbiamo a che fare, in Italia come nel mondo. La democrazia, nobile idea inventata fra ‘700 e ‘900, non concepisce l’ignoranza fra gli elettori. Anzi, presuppone che il voto sia una scelta consapevole, razionale, seria.

Quindi, se qualcuno ha colpe, questi sono anzitutto gli elettori.

Secondo imperativo: vigilare. La democrazia presuppone anche un rapporto non disonesto fra rappresentanti e rappresentati: la moralità del politico è un altro presupposto fondamentale. Mai così tradito come nei tempi attuali. Ma il politico disonesto si può smascherare. Sempre che gli elettori abbiano gli strumenti culturali per farlo. Tutto torna ad essere di nuovo una questione di quanto studiare.

Solo studiare? No, anche agire. Piuttosto che non andare a votare, che sembra essere la scelta prioritaria degli elettori in occidente, si possono fondare nuovi partiti. Si può militare in quelli esistenti per cambiare le cose dall’interno. Si può manifestare. Mentre scrivo queste righe, Greta Thunberg, una ragazza di 16 anni, sta parlando a 66 leader di paesi industriali. Ci è arrivata solo perché ha deciso di voler fare qualcosa e non starsene ferma ad aspettare che lo facciano altri.

L’Apatia dell’elettore moderno, che si lamenta sui social ma non fa niente per cambiare le cose, è altro fenomeno tipico della politica attuale in Italia come nel resto del mondo.

In questo sito, e nella pagina Facebook, si prospettano soluzioni. Non perché il sottoscritto, ennesimo presuntuoso di turno, le abbia tutte. Ma perché i problemi sono vecchi, alcuni antichi, e la formula magica era stata già trovata. Lo abbiamo dimenticato. 

Questa formula va rinnovata, certo. Ma gli strumenti ci sono. Basta cercarli con pazienza e fatica.

Benvenuti nel viaggio.

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