La sfida della democrazia del XXI secolo è quella di ridurre al minimo i rischi della tecnopolitica, aumentandone al massimo i vantaggi e i pregi. E per fare ciò ci vogliono regole, da un lato, e iniziative di promozione culturale dall’altro.

Le regole possono impedire la deriva plebiscitario-tirannica dell’uso delle tecnologie: l’attenzione legislativa sulla concentrazione mediatica, sulla disgregazione comunitaria, sulla qualità dell’informazione e dei servizi elettronici, sulle opportunità d’uso del voto elettronico e del sondaggio mettono al riparo il cittadino dal diventare membro della comunità del famoso romanzo orwelliano 1984. D’altra parte le iniziative di promozione culturale, come la formazione dei cittadini sull’uso delle tecnologie per i propri servizi amministrativi, l’estensione dei servizi e dei diritti tramite il mezzo elettronico, la trasparenza delle aziende e del settore amministrativo tramite l’accesso pubblico elettronico, l’informazione puntuale sulle occasioni di partecipazione alle reti, ai gruppi e alle comunità virtuali che viaggiano su Internet sono altrettante occasioni di promozione di quella democrazia continua di cui parla Rodotà, di una democrazia cioè che non coinvolge i suoi membri solo al momento del voto ma li tiene sempre in onda lungo tutto l’arco del processo di sviluppo del modello democratico.

Questi interventi mirati possono senz’altro difendere la democrazia dai pericoli tecnologici dell’iperdemocrazia, quali la personalizzazione della politica, l’eclissarsi dell’interesse generale a favore degli interessi elitari, la perdita dei tradizionali punti di riferimento politici quali il partito o il sindacato, e soprattutto il riemergere su base elettronica del pericolo della dittatura della maggioranza, come si configura oggi nella forma della “sondocrazia”, della dittatura del sondaggio. Si pensi a quanto afferma al proposito Rodotà:

Seguendo questa via, si giunge alla negazione della democrazia come processo comune e diffuso di comunicazione, apprendimento, confronto. Anche se si guarda al sondaggio come al punto d’arrivo di un processo sociale, non si può ignorare che proprio a quel punto scatta un meccanismo di esclusione della quasi totalità dei cittadini, che restringe drammaticamente il demos e fa emergere soltanto gruppi ristretti abilitati a parlare per tutti.

Quale la soluzione strategica? Rodotà la colloca nella possibilità di ridurre l’effetto quantificante della tecnologia a favore di quello qualificante. Si tratta secondo Rodotà di utilizzare la tecnologia per “diffondere la sovranità” nei cittadini.

La disponibilità dell’informazione si intreccia sempre più strettamente con le modalità di azione dei cittadini. E in questa prospettiva si moltiplicano le funzioni dell’informazione, e della conoscenza che essa produce […] Informazione e democrazia si congiungono sì che sembra più corretto parlare ormai di “diritto alla democrazia” più che di “diritto all’informazione”. E di questo diritto generale diventa componente indispensabile il “diritto di replica”, inteso nel senso più ampio, come potere dei cittadini di far ascoltare la propria voce per contrastare non solo aggressioni dirette, ma ogni forma di manipolazione e censura dell’informazione[…] Per questa via i cittadini possono entrare in procedimenti altrimenti caratterizzati da chiusura e esclusività. La comunicazione verticale comincia a cedere a quella orizzontale. Il potere può diffondersi creando ad esempio le condizioni di un controllo, di un “sindacato ispettivo” dei cittadini sull’amministrazione ben più efficace di quello affidato, ad esempio, allo strumento dell’interrogazione parlamentare.

Si ritorna, anche per questa via, dunque al tema cruciale della qualità e disponibilità dell’informazione. Per il quale obiettivo, allo stato attuale, c’è bisogno che il potere politico faccia un passo indietro, rispetto agli spazi che si è arrogantemente conquistato attraverso il controllo dei media, e contemporaneamente un passo avanti, prospettico, assumendosi la responsabilità di un’alfabetizzazione informatica in senso lato, che miri a garantire a ogni cittadino il diritto all’accesso delle informazioni, (l’autentica condizione di eguaglianza dei secoli prossimi a venire) e al tempo stesso il diritto alla qualità di quelle informazioni. Solo così i cittadini arriveranno preparati e formati al momento decisionale (il cui accesso sarà favorito anch’esso dall’avvento diffuso della tecnologia) che però non si tradurrà in apatia o falsa legittimazione democratica, perché non sarà più un mero momento quantitativo ma il concludersi di un processo di formazione culturale alla partecipazione politica.

Alfabetizzazione deve significare anche possibilità di comprendere il senso e la portata sociale delle nuove tecnologie, per avere nei loro confronti capacità critiche e non cadere nella facile identificazione tra innovazione tecnologica e progresso sociale.

E si può concludere che 

Non basta riconoscere un largo diritto di accesso, insistere sul servizio universale. […] È indispensabile  che al diritto di accesso corrisponda un contenuto informativo essenziale, una massa critica di informazioni che dia senso e sostanza alla posizione dei cittadini.

Ed è questo, appunto, lo sforzo maggiore che si chiede a una sinistra ideologicamente rinnovata: che superi finalmente l’ossessione verso l’obiettivo dell’egemonia culturale, di gramsciana memoria, aprendosi invece all’utopia della “liberazione degli spazi” e della “formazione critica” del cittadino.

Categories: Articoli